BLOCKCHAIN E ARTE: L’ART DEALING NELL’ERA DEL WEB 2.0
di Renato Marchetti
Arte e informatica condividono una chiave di sviluppo comune: creatività e innovazione.
Negli ultimi anni gli investimenti in opere d’arte da parte di privati hanno visto una crescita vertiginosa: basti pensare a Sotheby’s che nel primo trimestre del 2018 è riuscita ad aumentare le proprie private sales del 70% rispetto al 2017 per un valore complessivo di $ 246,6 milioni. Il mondo dell’arte, tuttavia, non è privo di zone d’ombra, problemi legati alla titolarità dei diritti sui beni d’investimento e controversie sulla provenienza e sull’originalità di tali beni. In questo contesto, Internet si potrebbe rivelare il miglior alleato, lo strumento indispensabile per gli avventori che si addentrano nella selva del fine arts and collectibles (F&C).
Ma prima di esplorare le applicazioni di tale tecnologia, è importante capirne il funzionamento e gli elementi salienti. La blockchain altro non è che un sistema di raccolta e immagazzinamento di informazioni; un registro distribuito e aperto che permette di annotare le transazioni tra due parti in maniera verificabile e permanente. Dunque, a differenza di altri tipi di registro, le informazioni riportate non vengono iscritte da un solo soggetto autorizzato e in grado di modificarle in qualsiasi momento, bensì tale operazione può essere svolta da chiunque. In particolare vengono annotate nel registro, detto anche ledger, tutte le informazioni relative ai partecipanti al network. Tali informazioni sono poi raccolte in blocchi (da qui il nome “blockchain”, appunto), legati tra loro in modo cronologicamente ordinato per cui risulterà impossibile alterare le informazioni contenute in un blocco senza modificare quelle dei blocchi successivi. Ogni user ha la possibilità di verificare l’attendibilità e la veridicità delle informazioni riportate sul ledger. Emerge, dunque, una caratteristica basilare: l’immutabilità. Per eliminare il ledger sarebbe necessario eliminare tutte le copie nelle mani di tutti i nodi: in poche parole l’unico modo per porre fine a una blockchain sarebbe quello di spegnere Internet. Tutte le operazioni svolte in questo sistema sono quindi registrate in modo sicuro, certo e comparabile, con tanto di data e ora in cui vengono eseguite.
Ogni blockchain può avvalersi di una o più “monete” digitali chiamate token.
Si tratta di asset digitali basati sul sistema di blockchain che possono essere oggetto di scambio tra due parti senza aver bisogno di una parte intermediaria. Allo stato attuale esistono diverse tipologie di token. Token di classe 1 che fungono da semplici monete, non garantiscono diritti nei confronti di un soggetto terzo e possono essere scambiati liberamente. Servono esclusivamente a registrare l’esistenza di un determinato soggetto o oggetto sulla blockchain: il solo fatto di essere proprietari di un token dimostra che effettivamente si sta partecipando attivamente al network. I token di classe 2, al contrario, conferiscono ai proprietari una serie di diritti esercitabili nei confronti di soggetti terzi. Alcuni osservatori associano questa classe di token ai titoli di credito ai sensi dell’art. 1992 del codice civile, paragonandoli ad esempio a dei titoli azionari o anche obbligazionari. Più nello specifico questa categoria di token può essere utilizzata per accedere a servizi, per pagamenti futuri o anche come asset rappresentativo del diritto di proprietà su beni specifici. Infine, i token di classe 3 hanno una funzione mista. Conferiscono infatti sia diritti di proprietà che altri diritti ancillari, quali diritti di voto o anche diritti economici.
Ed è proprio qui che entra in gioco il mondo dell’arte.
Un primo esempio di applicazione della blockchain nel mondo dell’arte è Maecenas: un marketplace basato su un sistema di blockchain che sfrutta un proprio token di classe 2, chiamato ART, con l’obiettivo di rendere più democratici e accessibili gli investimenti in campo artistico. Come? L’iscrizione alla piattaforma Maecenas è assolutamente libera ma solo gli investitori istituzionali (banche, fondi d’investimento etc.) possono utilizzare valute correnti tradizionali: per potere accedere ai servizi di Maecenas, un investitore semplice dovrà necessariamente ricorrere a criptovalute quali Bitcoin, Ethereum o ArtCoin, ed avere un portafoglio di un valore minimo di 50.000 dollari. I proprietari di opere d’arte hanno la possibilità di inserire i propri pezzi sulla piattaforma, pagando una commissione del 6% sul valore dell’opera. Questo non può scendere sotto il milione di dollari e viene accertato da terzi fiduciari incaricati da Maecenas stesso che garantisce anche sulla provenienza e sull’originalità del pezzo. Gli utenti hanno a propria disposizione un vero e proprio listino su cui vengono riportate tutte le informazioni e le caratteristiche relative alle opere su cui intendono investire. La piattaforma richiede un investimento minimo di 5.000 dollari per opera d’arte, convertiti in token ART. Le opere sono soggette ad aste olandesi al ribasso per un periodo di tempo predeterminato dai gestori della piattaforma, al termine del quale l’algoritmo su cui l’intero sistema si regge divide l’opera in azioni che vengono assegnate agli utenti vincitori. Il 50% di tali azioni rimane in possesso del proprietario originario, assicurando al contempo agli altri azionisti di godere del diritto di sfruttamento economico. Al termine dell’asta, quindi, vengono emessi automaticamente dei certificati azionari che possono essere oggetto di trading tra gli stessi partecipanti: la vendita risulterà gratuita mentre l’acquisto comporta una commissione del 2% a carico dell’acquirente.
Uno degli aspetti più ostici nell’investire in F&C è quello della provenienza del bene che si va ad acquistare: come si fa ad essere sicuri che il soggetto da cui si acquista sia veramente il proprietario, che i documenti presentati al momento della vendita riportino il vero o che l’opera sia originale? Codex è un registro decentralizzato basato su un sistema di blockchain. Gli sviluppatori hanno creato un consorzio di rivenditori di A&C online, case d’asta, gallerie, collezionisti privati e sviluppatori di software localizzati in oltre 50 Paesi, con beni di un valore pari a quasi $ 6 miliardi. Utilizzando un proprio token di classe 1, CodexCoin, Codex rende tracciabile ogni operazione riguardante un determinato bene di lusso e consente al singolo utente di creare, modificare e alienare i propri asset digitali, in modo completamente anonimo. Il sistema protegge gli acquirenti da possibili truffe e al tempo stesso riduce sensibilmente i costi di transazione.
Anche se a un primo sguardo può sembrare uno scenario piuttosto roseo e ricco di possibilità di evoluzione, tuttavia, lo strumento delle criptovalute e dei token cela alcune problematicità di tipo legale. Infatti, mentre altri Paesi come la Cina o la Corea del Sud hanno definitivamente negato la possibilità di emettere legalmente token tramite le cosiddette ICO (Initial Coin Offering, paragonabili a delle offerte pubbliche d’acquisto), in Italia il legislatore si mostra reticente. E mentre l’utilizzo di questi strumenti è sicuramente condizionato al rispetto delle normative antiriciclaggio, CONSOB ancora non si è espressa circa la natura e la liceità delle ICO.
In poche parole, se in altri Paesi le criptovalute vengono usate regolarmente e addirittura incentivate, nel Belpaese costituiscono una realtà evidente ma che rischia di tramontare nel silenzio legislativo, rimanendo in un limbo a metà tra il lecito e l’illecito.